Excubitorium - VII Coorte dei vigili

 

Una fase degli scavi dell'Excubitorium. Stampa ottocentesca.Il monumento è segnalato da un'iscrizione contenente brevi notizie, murata a sinistra del portale d'ingresso sormontato dallo stemma di Pio IX. Tuttavia il prospetto architettonico non è quello ottocentesco, che, ortogonale all'attuale strada, fu spostato di novanta gradi circa nel corso degli sventramenti attuati per l'apertura di viale Trastevere.

Situato ad una profondità di circa otto metri rispetto al piano stradale odierno, il complesso fu scoperto nel 1865-1866 nel corso di uno scavo finanziato da due cercatori di opere d'arte: G.Gagliardi e A.Ciocci. Presso l'opinione pubblica infatti erano ancora vivi il ricordo e l'emozione del rinvenimento fortuito nel 1849 in vicolo delle Palme, oggi vicolo dell'Atleta, di numerose e pregevoli sculture, quali una copia dell' Apoxyomenos di Lisippo successivamente esposta nei Musei Vaticani, un cavallo ed un toro in bronzo ora nel Palazzo dei Conservatori in Campidoglio. Se tale circostanza quindi fu il movente principale della ricerca, questa ebbe come punto di riferimento un muro antico emergente dal giardino di una casa privata sulla piazza Monte di Fiore di fronte alla piazza di S.Crisogono, entrambe scomparse nel più recente assetto urbanistico del quartiere.

Fin dalle prime fasi dello scavo, completato solo in epoca successiva a cura del Governo, apparve subito chiara la destinazione degli ambienti riportati alla luce in base al gran numero di graffiti presenti sulle pareti, ove era ripetutamente citata la VII Coorte dei Vigili, che secondo la riforma augustea era preposta alla sorveglianza della IX e XIV regione. In particolare l'edificio venne identificato con un excubitorium o corpo di guardia distaccato nel Trastevere della VII Coorte, la cui sede centrale doveva essere nel Campo Marzio. Se il buono stato di conservazione del monumento e lo straordinario valore documentario dei graffiti sollecitarono l'interesse e lo studio immediato degli specialisti, viceversa l'area scavata fu abbandonata con gravissimo pregiudizio per la conservazione delle strutture murarie e soprattutto del loro apparato decorativo: gli intonaci dipinti sono andati progressivamente in rovina, mentre il magnifico mosaico pavimentale è andato perso durante l'ultima guerra. Solo nel 1966, a cento anni dalla scoperta, si è avuta una sistemazione adeguata con copertura del monumento. Sono seguiti lavori di ordinaria manutenzione fino al 1986, anno in cui è stato compiuto il restauro della decorazione architettonica e dei resti di pitture.

Vari indizi emersi nel corso dello scavo rivelarono che l'Excubitorium era stato adattato verso la fine del II secolo d.C. all'interno di una casa privata, comprata o affittata dall'amministrazione pubblica, per questa caserma minore di vigili, ai quali competevano l'estinzione ma anche la prevenzione degli incendi, nonchè il servizio di pubblica sicurezza specialmente durante la notte.

Superato attraverso una scala moderna il notevole dislivello tra la strada ed il monumento, si entra in una grande aula ove l'attenzione è immediatamente attirata al centro di una vasca di forma esagonale a lati concavi. Di fronte ad essa, sulla parete sud si apre un'elegante porta ad arco che, incorniciata in origine da due paraste con basi e capitelli corinzi e sormontata da un timpano, introduce nel larario, una sorta di cappella del genio tutelare dei vigili, il Genio excubitori ricordato dai graffiti ormai scomparsi insieme a gran parte degli intonaci dipinti in cui erano stati tracciati. Si conservano infatti solo le pitture sulla sommità delle pareti brevi dell'edicola, ove pannelli delimitati da fasce rosse presentano al centro un motivo architettonico di colonne sorreggenti architravi, che insieme a ghirlande ad andamento obliquo inquadrano esili figure su fondo bianco. Queste ritornano in posizione del tutto marginale nella suddivisione geometrica del sottarco resa sempre con fascioni di colore rosso. Delle decorazioni della porta del larario realizzate tutte in mattoni è sopravvissuto soltanto il timpano movimentato da cornici di diverso aggetto, distinte anche dal diverso colore dei laterizi.

Come è stato accennato, è scomparso il pavimento dell'aula costituito da un grande mosaico in bianco e nero, documentato da riproduzioni grafiche e fotografiche ove sono visibili sul lato nord "due tritoni, uno che tiene nella destra un grande tridente e nella sinistra una face spenta, simboleggiante il fuoco domato, l'altro ha invece una face accesa ed indica il mare, cioè l'acqua che serve a spegnere il fuoco". In altre descrizionisi trova memoria anche di mostri marini fantastici: un cavallo, un caprone ed un serpente che completavano la decorazione musiva sugli altri lati. In modo analogo sappiamo che nelle altre stanze si conservavano "resti di pitture rappresentanti padiglioni, portichetti e tempietti secondo il IV stile pompeiano, oppure animali marini, piccoli geni, uccelli e fogliami".

L'antica porta di accesso alla caserma.Di tali e pregevoli testimonianze, pienamente concordi con il repertorio figurativo dell'inizio del III secolo d.C., non rimangono che miseri resti peraltro illeggibili negli ambienti situati a nord dell'atrio. Fa eccezione l'affresco con lineare trama geometrica racchiudente un erote e cavalli marini nel sottarco della porta che, quasi in asse con l'edicola, immette in un ambiente di passaggio su cui prospettano tre vani.

Nella stanza situata ad Ovest con il pavimento in coccio pesto interrotto al centro da un chiusino si è voluto vedere un bagno, mentre incerta rimane la destinazione dei due vani contigui e tra loro comunicanti sul lato opposto. In questi infatti l'indizio più significativo e tuttavia insufficiente è dato dal pavimento in opus spicatum, costituito cioè da mattoni disposti a spina di pesce. Impiegato solitamente in ambienti di servizio a cielo aperto per la resistenza e l'impermeabilità, questo tipo di rivestimento laterizio qui venne a sovrapporsi ad un precedente pavimento in mosaico a piccole tessere bianche visibile ad una quota inferiore di m.0,25 circa.

Ancora l'opera spicata continua sia nel corridoio che nel successivo e più stretto passaggio, cui si accede attraverso un'apertura praticata nel sacco di un muro di fondazione del palazzo sovrastante. A nord questo angusto ambulacro è delimitato da una soglia di marmo, perfettamente allineata con il muro perimetrale di un vano con pavimento in opera spicata, la cui destinazione a magazzino è chiaramente denunciata da un dolio interrato, tipo questo di recipiente utilizzato in genere per conservare grano, legumi, olio, vino, ecc. Sia la soglia del corridoio che l'ingresso di quest'ultimo ambiente attualmente affacciano su un'area priva di pavimentazione e circondata su tre lati da pareti ricavate nell'opera a sacco che contiene le costruzioni superiori.

A completamento infine della rapida descrizione del monumento, il cui fascino maggiore risiede soprattutto nella grandiosità delle strutture, va ricordato che nel corso dello scavo furono raccolti "diversi voti fittili tutti uguali" raffiguranti "il busto di una donna con capo velato e con mitra". Si rinvenne anche un busto di Alessandro Severo trasferito poi in Vaticano, mentre nei pressi del monumento fu recuperata ed in seguito acquistata dal Comune la grande fiaccola in bronzo scomponibile in quattro parti, conclusa in alto dal contenitore per l'olio a forma di fiamma e con l'estremità inferiore a punta acuminata. Ma la testimonianza più notevole ed originale è offerta dai quasi cento graffiti, nessuno dei quali pervenuto sino a noi, mentre fortunatamente il loro ricordo è stato affidato alle trascrizioni edite subito dopo il rinvenimento del complesso. Tracciate tra il 215 e il 245 d.C. dagli stessi militi sulle pareti intonacate nei momenti di riposo, queste trascrizioni hanno gettato lumi sull'organizzazione dei vigili e sulla loro vita in caserma. In esse infatti ricorrono non solo saluti agli imperatori e ringraziamenti agli dei ed in particolare al genio dell'excubitorio, ma vengono indicati il nome ed il numero della coorte, i nomi ed i gradi dei vigili. Di grande rilievo è la menzione dei sebaciaria, un servizio altrimenti ignoto e perciò di difficile definizione e controversa. Dalla lettura dei graffiti sembra che tale incarico della durata di un mese comportasse qualche rischio, cui allude l'espressione "omnia tuta" (tutto a posto), mentre del faticoso impegno richiesto da tale mansione testimonia l'annotazione graffita dal vigile alla fine del turno: "lassus sum successorem date" (sono stanco, datemi il cambio). In base a tali elementi e alla derivazione del nome da sebum (sego) sono state avanzate numerose ipotesi, tra le quali la più accreditata appare quella del servizio notturno di vigilanza della città alla luce di torce di sego. Come è stato già accennato ìVIGILI NELL'ANTICA ROMà costituivano un corpo incaricato di spegnere, prevenire gli incendi e vigilare sulla sicurezza della città. Durante la repubblica la competenza sugli incendi era dei tresviri capitales, detti poi anche trasviri nocturni, che si avvalevano di un corpo di schiavi, di cui si ignora il numero e l'organizzazione. Nell'anno 6 d.C. Augusto riformò completamente il servizio, costituendo il corpo dei vigili, che oltre agli incendi avrebbe dovuto provvedere anche alla polizia notturna contro gli incendiari, gli scassinatori, i ladri e così via. Stabilì altresì che i vigili fossero reclutati tra i liberti, i quali dopo sei anni di servizio, poi ridotti a tre, potevano ottenere la cittadinanza romana. Sette coorti, ciascuna 1000-1200 uomini e suddivisa in sette centurie di 100-160 unità, componevano il corpo dei vigili comandato da un praefectus vigilum scelto nell'ordine equestre. In base alla divisione augustea della città in quattordici regioni, ogni coorte doveva assicurare il servizio nel territorio di due regioni e aveva la caserma (statio) in una di esse ed un distaccamento, un corpo di guardia(excubitorium) nell'altra. Ogni coorte era comandata da un tribanus, così come a capo delle centurie era un centurione, cui si affiancavano i sottufficiali adiutores centurionis. In ciascun reparto erano poi soldati specializzati per le varie mansioni del corpo: acquarii, addetti alle pompe ed alle prese d'acqua e pertanto paragonabili ai moderni pompieri, balneari, incaricati della vigilanza dei bagni pubblici, horreari, sorveglianti nei magazzini, carcerarii, carcerieri e quaestionarii, impegnati negli interrogatori dei prigionieri.

Di tutte le mansioni la più importante e gravosa fu senz'altro il servizio prestato negli incendi, sempre così frequenti in una città con case a più piani costruite con largo impiego di legno, specialmente in un quartiere come il Trastevere che dobbiamo immaginare con strade strette e spesso occupate dai banchi delle botteghe. A questo si aggiunga l'importanza del fuoco nell'antichità quale elemento primario per la cottura dei cibi, l'illuminazione, il riscaldamento.

Vista sull'ingressoSe l'organizzazione di Augusto assicurò pronto intervento in tutta la città, è interessante conoscere anche gli strumenti di cui disponevano i vigili per combattere il fuoco. Oltre alle pertiche, scale e corde (funes) venivano utilizzati i centones, una sorta di grandi coperte con le quali, opportunemente bagnate, si cercava di soffocare o isolare le fiamme.

Si conoscono anche le pompe a sifone (siphones) per l'adduzione di acqua attraverso le tubature, quando non si ricorreva al più semplice sistema di passare di mano in mano recipienti (hamae) o secchi di giunchi (vasa spartea), responsabili tra l'altro del nomignolo dispregiativo di sparteoli dato ai vigili dal popolo.

Testo di Anna Maria Ramieri
Da "Roma" di Filippo Coarelli - Ed. Laterza 1995



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