Chiesa di Santa Passera

 

Sulla riva destra del Tevere all'altezza della basilica di San Paolo fuori le mura, nel punto in cui il fiume descrive un'ansa, sorge la chiesetta di S.Passera, la santa che non esiste. La chiesa ha la facciata rivolta al vicino fiume e dà le spalle alla moderna Via Magliana che in questo punto ricalca il tracciato dell’antica Via Portuensis. Quest’ultima, partendo da Porta Portuensis – l’odierna Porta Portese - raggiungeva l’abitato di Portus. La chiesa, già esistente intorno all’VIII secolo e poi ampliata nel XIII secolo, si presenta come un edificio a pianta rettangolare, ad un'unica navata absidata e con soffitto ligneo. Ipogeo di Santa Passera
Essa  fu realizzata su di  un edificio preesistente, già visibile esternamente per alcuni archi tamponati sul lato sinistro della chiesa, lungo il vicolo omonimo. Come intuibile osservando la facciata, la chiesa si innestò su un mausoleo romano, del tutto simile al Tempietto del Dio Redicolo alla Caffarella (datato alla seconda metà del II secolo d.C.): sono infatti visibili ampi lacerti di muro in laterizio e, al lato della porta d'ingresso, due finestrelle decorate con cornici fittili.

Si racconta che durante le persecuzioni di Diocleziano (284 – 305), Ciro e Giovanni, rispettivamente un medico di Alessandria di Egitto e un soldato di Edessa divenuto suo discepolo, furono crocefissi e decapitati a Canopo, in Egitto, nel 303.
S. Cirillo, Patriarca di Alessandria, portò le salme dei due martiri a Menouthis (l'odierna Abukir), presso la locale chiesa.
Molto tempo dopo, nel 407, durante il regno degli imperatori Arcadio ed Onorio, due monaci di nome Grimoaldo ed Arnolfo, dopo un sogno premonitore, prima dell'invasione dei saraceni in Egitto,  portarono le salme a Roma per custodirle.
Giunti a Roma, furono accolti e ospitati nella casa dalla ricca Teodora, in Trastevere. Durante la notte i due martiri apparvero in sogno alla padrona di casa e le ordinarono di trasportare i loro corpi fuori città, nella chiesetta che aveva fatto costruire nei suoi possedimenti lungo l'antica  via Portuense, in onore della vergine Prassede.

Ipogeo di Santa PasseraSull'origine del nome attuale Passera, l'ipotesi più probabile è che esso derivi dalla corruzione fonetica del titolo abbàs Cyrus (padre Ciro), da cui S. Abbaciro, dato inizialmente alla chiesa: durante i secoli il termine subì la storpiatura della lingua popolare divenendo Appacero, Pacero, Pacera (in un documento del 1317 si parla di un pezzo di terra “posita extra portam Portuensem in loco qui dicitur S. Pacera") ed infine Passera.

L’accesso ai resti dell'oratorio medievale del V secolo fatto realizzare da Teodora  – ormai divenuti sotterranei alla chiesa - avviene da una porta esterna posizionata livello inferiore rispetto alla chiesa stessa. L’ambiente si sviluppa su quattro vani intercomunicanti realizzati in laterizio. A memoria dell'antico utilizzo, sull'arco dopo la porta di accesso si leggono su un'epigrafe marmorea questi due versi: Corpora Sancti Cyri renitent hic atque Joannis / Quae quondam Romae dedit Alexandria Magna ("Qui risplendono i santi corpi di Ciro e Giovanni che un giorno la grande Alessandria dette a Roma") .

Una ripida scaletta moderna permette di accedere al secondo livello dei sotterranei, la "cripta ipogea" dove furono collocati i corpi dei due martiri. Si tratta di un piccolo ambiente rettangolare di modeste dimensioni, che probabilmente doveva costituire la cella del mausoleo di Dioniso, databile alla fine del II, inizio del III secolo. L'ambiente trae luce unicamente dal foro della scala e da un'apertura centrale nella volta. Ipogeo di Santa PasseraGià anticamente lo spazio interno venne ridotto, con una controparete sul lato ovest, per ricavarne ulteriori spazi funerari. L'antica decorazione pittorica risulta purtroppo quasi completamente perduta, non solo per le innumerevoli piene del vicino Tevere, ma soprattutto per le incursioni di quanti, nel tempo, hanno cercato di trafugare le reliquie dei martiri. Su un fondo d'intonaco chiaro delimitato da fascioni, si intravedono partiture semicircolari e quadranti rossi, con soggetti di repertorio funerario. Nella parete nord vi è il così detto  Ciclo della dea Dike, con la dea che regge una bilancia, un uccello e un pugile; sulla parete sud sono dipinte una pecora e delle linee rosse; nella volta grandi stelle a 6 e 8 punte e motivi decorativi. La controparete presenta soggetti non riconoscibili; alla fine XIII sec. vi fu dipinta una Vergine con bambino, poi rubata nel 1968. L'ipogeo, interrato dopo il 1706, è stato riscoperto solo nel 1904.


Bibliografia:  A. Bosio, Roma Sotterranea, 1710 
                       C. Calci, Roma Archeologica, ADNKronos Libri, Roma 2005
                       L. De Santis, I segreti di Roma Sotterranea, Newton Compton Editori, 2008
                       M. Escobar, Le chiese sconosciute di Roma, Newton  Compton, Roma 1992
                       C. Pavia, Guida di Roma Sotterranea, Gangemi Editore, Roma 1998
                                            

per Roma Sotterranea, Alessio Lo Conte


Localizzazione