Carcere Mamertino - Tullianum

 

La prima prigione di stato dell’antica Roma: questo era il Tullianum, conosciuto dal medioevo con il nome di Carcer Mamertinum. Esso si trovava nel Foro Romano, lungo il Clivus Argentarius, precedentemente chiamato Clivus Lautumiarum (vedremo più avanti il perché di questo nome).
Oggi il complesso si trova al di sotto della chiesa di S.Giuseppe, eretta dall'Arciconfraternita dei Falegnami a partire dal 1597, e a questo periodo risale la struttura sulla quale campeggia la scritta “Mamertinum”. Quattro in tutto i livelli: la chiesa, la cappella del Crocifisso, il Carcere Mamertino ed il Tullianum.
Varie le descrizioni forniteci dalle fonti relativamente a questo luogo ed alla sua ubicazione: Plinio il Vecchio ricorda la sua collocazione ad ovest della Curia Hostilia, e precisa è la descrizione di Sallustio: “Vi è un luogo nel carcere chiamato Tulliano, un poco a sinistra salendo, sprofondato a circa 12 piedi sottoterra. Esso è chiuso tutto intorno da robuste pareti e al di sopra da un soffitto, costituito da una volta di pietra: il suo aspetto è ripugnante e spaventoso per lo stato di abbandono, l’oscurità e il puzzo”. Giugurta, gettato in questo antro, riuscì a deridere i suoi carcerieri dicendo: “Come è freddo questo vostro bagno, Romani!”. Calpurnio Flacco invece scrive: "Ho visto il carcere pubblico costruito di grandi massi, cui si accede per aperture strette e oblunghe che danno appena un pò di luce in quell'oscurità. Per mezzo di questa i rei abbietti osservano il Robur Tullianum, e ogni volta che lo stridore della porta ferrata che si apre scuote coloro che là giacciono, si esaminano l'uno con l'altro e assistendo ciascuno all'altrui supplizio apprendono quel che li aspetta. Risuonano lì dentro i colpi di frusta, la lordura martoria i corpi, le mani sono oppressa dalle catene".
Cartcere_Mamertino_TullianumSi tratta di un complesso di ambienti integrato nel sistema di mura di sostruzione difensiva delle pendici del Campidoglio, databili dall’età regia e per tutta l’età repubblicana, tanto che nella metà primo secolo d.C. (intorno al 39-42) esso fu monumentalizzato con la costruzione della facciata in travertino che reca la dedica senatoria ai consoli C. VIBIUS RUFINUS e M. COCCEIUS NERVA, che restaurarono il complesso sotto Tiberio. Dietro a questa è presente una facciata più antica, in tufo di grotta oscura.
Vale la pena premettere che il complesso era probabilmente molto più esteso: è giunta fino a noi solamente la parte più segreta della prigione, paragonabile alle zone di massima sicurezza degli odierni carceri. Il resto delle prigioni si sviluppava con ambienti scavati all’interno del Campidoglio, le cosiddette Lautumiae (da cui il nome del Clivus), antiche cave di tufo riadattate allo scopo, in effetti esistenti in gran numero ai piedi del colle.
Attraversando una porticina realizzata nel 1932 ci si trova nell'ambiente intermedio dei tre che formano il sito ipogeo. Quello al di sopra, in realtà non è sotterraneo ma si trova comunque al di sotto del pavimento della sovrastante chiesa: è l a cappella dle Crocifisso, costruita nel 1853, sotto Pio IX, per realizzare una superficie piana sulla quale innalzare la Chiesa di S.Giuseppe. E' probabile che occupi il luogo dove si trovava il posto di guardia del carcere.
Tornando all'ambiente intermedio, esso è detto propriamente Mamertino, probabilmente dal dio sabinop Mamers, Marte, di cui esisteva un tempio nelle vicinanze. Questo spazio, con volta a botte, è di piccole dimensioni, come il sottostante, circa 8,50 per 5,50 metri; ha forma trapezioidale ed è realizzato con conci di tufo di Monteverde e rosso dell’Aniene in opera quadrata isodoma (blocchi parallelepipedi di uguali dimensioni disposti tutti di taglio e sfalsati tra loro). Sulla parete di destra è visibile una porticina, oggi tamponata e posta a livello più alto rispetto al piano di calpestio attuale. E’ probabilmente questo l’ingresso originario all’ambiente.
Qui erano rinchiusi i prigionieri di stato, capi di popolazioni nemiche ad esempio, ma anche rivoltosi. Al centro dell’ambiente si trova una botola – oggi chiusa da una grata - un tempo l’unico punto tramite il quale accedere all’ambiente sottostante, oggi raggiungibile per mezzo di una scala realizzata nel XIV secolo. Esso ha una forma circolare a tholos, realizzato in opera quadrata con blocchi di peperino a secco. Sul pavimento è presente un piccolo pozzetto rotondo di 38 centimetri di diametro, profondo 65 centimetri dal quale sgorga una polla d’acqua sorgiva (il nome Tullianum potrebbe provenire proprio da “tullus” vale a dire sorgente d’acqua). Indubbia la funzione sacrale legata all’acqua sorgiva sottolineata anche dal rinvenimento di un contesto votivo databile dal V e la fine del III secolo a.C.. Si è anche ipotizzato che la funzione originaria di questo ambiente fosse quella di cisterna per la conserva dell’acqua.
E’ questo il luogo dove erano gettati i prigionieri condannati a morte, per strangolamento, decapitazione, o per fame. Qui furono uccisi, ad esempio, Giugurta, Vercingetorige, Ponzio e i partecipanti alle rivolte di Caio Gracco e di Catilina.
L’ambiente è tagliato sul lato est da muri di fondazione, da ricollegare alla realizzazione della Basilica Porcia. La datazione di questa zona del carcere si può pertanto far risalire con certezza a prima della costruzione della Basilica, vale a dire il 184 a.C., anche se alcuni saggi hanno individuato murature ancora più antiche, di epoca arcaica. Ecco prospettarsi l’ipotesi che potrebbe non essere del tutto errato quanto scritto da Livio e da Varrone: il primo afferma che questo ipogeo fosse stato destinato a carcere da Anco Marzio, quarto re di Roma, nel 600 a.C, il secondo che fosse opera di Servio Tullio, intorno al 550 a.C.; il carcere potrebbe aver preso il nome di Tullianum proprio dal quinto re di Roma.
Sul muro che taglia l’ambiente vi è un’apertura, oggi chiusa con una porta in ferro. Dietro alla porta vi è un cunicolo di drenaggio realizzato nel medioevo che permetteva il deflusso delle acque verso la Cloaca Maxima, anche se possiamo immaginare che uno strato d’acqua occupasse costantemente il fondo della cella rendendola umida e invivibile.
Che il luogo sia stato per nove mesi la prigione dei Santi Pietro e Paolo - i quali convertirono e battezzarono i loro carcerieri Processo e Martiniano - è solamente una tradizione di origine medioevale. Pertanto i racconti connessi alla colonna - alla quale la leggenda vuole fossero legati i due santi - e al muro con impresso il punto in cui San Pietro avrebbe battuto la testa, sono frutto della fede popolare.
Non è possibile affermare con certezza quando il luogo perse la sua funzione di Carcer per diventare meta di pellegrinaggi da parte dei primi cristiani, anche se alcune fonti affermano che fu elevato a luogo di culto già nel 314 d.C., quando il Papa Silvestro lo dedicò a S. Pietro in Carcere.
Alcuni affreschi databili all’VIII secolo, in parte emersi ex novo durante le ultime indagini del 2009, in parte riletti anche se conosciuti per tradizione, rafforzano la costanza del culto per S. Pietro e un’iconografia riconducibile alla sua Vicarietà di Cristo, fra cui quello che rappresenta Gesù che pone le sue mani sulle spalle di Pietro, che lo guarda intensamente e sorride.


per Roma Sotterranea, Adriano Morabito


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