Ipogeo di Vibia

 

Ipogeo di VibiaIl nome dell'ipogeo deriva da Vibia, il personaggio sepolto insieme al consorte Vincentius nella tomba più famosa e meglio conservata dell'intero complesso; per un certo periodo è stato anche conosciuto come “ipogeo delle monachelle” per la presenza di una pittura con sei personaggi velati. Ufficialmente venne scoperto da Padre Giovanni Gaetano Bottari nella tenuta del Casale della Torretta sull'Appia Antica (di fronte alle Catacombe di S. Callisto) ma, in realtà, anche se l'archeologo non specifica quando, venne scavato anche in precedenza; egli si limitò a pubblicare, nella sua opera "Sculture e pitture sagre estratte dai cimiteri di Roma" del 1754, alcune particolari pitture con chiare allusioni a culti orientali non-cristiani legati al dio Sabazio e al dio Mitra. Dell'ipogeo si perse la memoria per circa un secolo finché fu riscoperto nel 1847 dall'archeologo gesuita Giuseppe Marchi e prese il via un ampio dibattito sulla presenza in un cimitero cristiano di sepolture chiaramente pagane; solo alla metà del XX secolo dopo ulteriori scavi, ci si rese conto che l'intero complesso sotterraneo era composto da più ipogei privati, collegati tra loro in epoche diverse.
Ipogeo di VibiaQuesta catacomba di diritto privato, costituita da otto distinti ipogei, è databile alla seconda metà del IV secolo e fu usata per circa un cinquantennio. Il piccolo complesso ipogeo è composto da tre livelli, scavati in momenti successivi; il più antico, e anche meglio conservato, è quello che si trova più in profondità, dove è situato l'ipogeo di Vibia.

L'attuale accesso è da una porticina lungo la via Appia Antica, al numero 101; quello originale era collocato più all'interno, alla fine di un viottolo. La scala, molto ripida, scende fino ad un livello di 6 metri rispetto al piano stradale e conduce ad una galleria che nel corso degli anni, per esigenze di spazio, venne approfondita; in fondo alla galleria fu scavata una scala da pozzo che scende per ulteriori 12 metri fino ad intercettare la falda freatica. Qui si trova un bacino circolare profondo tre metri e largo due. Ortogonalmente rispetto alle scale d'ingresso, si sviluppa un'altra galleria che, attraverso undici alti gradini, scende fino a nove metri di profondità per arrivare al cosiddetto livello di Vibia. Qui si trova il famoso arcosolio con le tanto discusse pitture: il ciclo di dipinti si apre con il ratto di Proserpina da parte di Plutone sulla quadriga, molti tendono però a riconoscere nella rapita Vibia, il che avrebbe senso alla luce delle successive pitture; nel sotto arco l'immagine di Mercurio nuntius che accompagna la defunta per essere giudicata, sulla destra Vibia, tenuta per mano da Alcesti (la donna che Ercole trasse dall'aldilà, simbolo della vita dopo la morte), al centro due imponenti personaggi, Dispater (Plutone), Ipogeo di Vibiacon la testa coronata di fiori e Aeracura (Proserpina), vestita con una tunica color acqua marina, seduti su un alto podio e sulla sinistra le tre Parche, Fata Divina, che presiedono al destino dell'uomo. Nell'immagine della lunetta Vibia, preceduta dall'angelus bonus, che la tiene per mano, viene introdotta al convito dei beati e, subito dopo, sul lato destro, è rappresentata mentre in un campo di fiori banchetta tra i bonorum iudicio iudicati, tra brocche di vino e vivande; in un'iscrizione dipinta con lettere rosse, suo marito Vincenzo, sacerdote di Sabazio, un culto molto simile ai Misteri Dionisiaci, esorta a vivere una vita gioiosa.

Ipogeo di VibiaPoco più avanti altri due arcosoli fanno riferimento a culti non cristiani, precisamente a quelli Mitraici: nel primo il defunto, non identificato, è raffigurato nei panni del miles, il soldato, che nel culto di Mitra rappresenta il terzo grado dei riti d'iniziazione; sull'altro, dove sono sepolti un certo Caricus e un altro personaggio sconosciuto, è riportata un'iscrizione: M. Aurelio sacerdos dei Solis Invicti Mithrae.

Nell'ipogeo sono presenti altri due ambienti degni di nota: il primo è un vasto cubicolo di forma quadrata con una volta a crociera ribassata; ai quattro lati sono presenti quattro colonne complete di capitello, ricavate direttamente dal tufo e scolpite a tutto tondo che sorreggono gli archi; sono presenti una ventina di loculi ancora chiusi con materiale laterizio ma privi di epigrafi, non è presente pavimentazione e le pareti non sono intonacate. Il secondo ambiente, da collocare nell'ultimo periodo di vita della struttura, è il cosiddetto arcosolio dei vinai: dipinto in modo grossolano, rappresenta scene tratte dalla vita dei vignaioli, con riferimento ad attività di acquisto e vendita del vino, probabilmente l'attività del defunto.
Le gallerie, molte delle quali sono crollate, continuano in altre direzioni e vanno a intercettare altre piccole necropoli sotterranee e cave di tufo scavate in tempi più recenti.

Bibliografia:
  • Benedetto Coccia, I percorsi dell'aldilà nel Lazio, Editrice APES, 2007
  • Leonella De Santis, I segreti di Roma Sotterranea, Newton Compton Editori, 2008

per Roma Sotterranea, Alessio Lo Conte


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