Oratorio dei Sette Dormienti

 


L’Oratorio dei Sette Dormienti si trova sul tratto urbano della Via Appia (oggi Via di Porta S.Sebastiano, al numero civico 7), a metà strada tra Piazza Numa Pompilio e Porta S. Sebastiano.
Questa piccola chiesa è legata ad una singolare leggenda orientale molto diffusa nei primi secoli del medioevo, che ritroviamo, anche se in termini diversi, nella Sura XVIII del Corano. Ad Efeso, città famosa per il tempio di Diana, una delle sette meraviglie del mondo, si venerava fin dall'antichità la tomba di Sette dormienti, sulla quale era sorta una chiesa, meta di pellegrinaggi.
Si crede che la leggenda fiorita su quella tomba abbia avuto origine dal termine di « dormienti » interpretato non nel senso di « morti » ma in quello letterale di « assopiti ». E per giustificare quel « sonno » venne immaginato un racconto pieno di fantasia e di peripezie. Durante la persecuzione dell’Imperatore Decio (249-251), alcuni giovani cristiani di Efeso decidono di fuggire dalla città e di nascondersi in una grotta sulle pendici del monte Pion. Ogni sera, uno di loro, di nome Malco, travestito da mendicante, scende in città e riporta alla grotta cibo e notizie. Ma il loro nascondiglio viene ben presto scoperto: l’Imperatore ordina di murare l'entrata della grotta, con i giovani addormentati all’interno, ed essi vengono considerati morti e pianti dai confratelli come martiri.
Quasi 200 anni dopo a Costantinopoli regna l’Imperatore Teodosio II (408-450), di fede cristiana ma attraversato da atroci dubbi: non riesce a credere nella resurrezione dei corpi. Proprio allora un umile pastore di Efeso, per divina ispirazione, conduce il suo Vescovo davanti alla grotta e fa abbattere, col suo permesso, il muro che la chiude; i dormienti si risvegliano, credendo di aver dormito una sola notte. Il prelato allora avverte Teodosio ed ecco la fine del racconto, come descritto nella Legenda Aurea. «e sì tosto come i sette ebbero veduto lo Imperatore, risplendettero le facce come sole, ed entrato lo Imperatore, gittossi dinanzi ai piedi loro, glorificando Iddio... Allora disse uno de' Santi: "Credi a noi che a le tue cagioni ci ha risuscitato il Signore, innanzi al gran dì de la resurrezione, acciò che tu creda senza verun dubbio». « E dette queste cose, veggendo tutti quanti, inchinarono i capi in terra e dormirono in pace, e renderono gli spiriti loro secondo il comandamento di Dio» .
Tornando a Roma, la chiesa fu probabilmente fondata poco prima del X secolo, ricavando gli spazi all’interno di ruderi romani di età classica. Nella lista contente i luoghi di culto della città di Roma (il cosiddetto Catalogo di Torino del 1320), tra S. Cesareo e S. Giovanni a Porta Latina è citata un'ecclesia Sancti Archangeli. La chiesa infatti fu in seguito intitolata anche all’Arcangelo Gabriele. Dopo un periodo di abbandono la chiesa fu restaurata intorno al 1710 sotto Papa Clemente XI, il quale nutriva particolare interesse per la cultura orientale. Successivamente fu abbandonata in via definitiva probabilmente anche per la scarsa diffusione di questo culto del tutto particolare.
Fu l’archeologo Mariano Armellini a riconoscere nel 1875 l’antico Oratorio, di cui si erano perse le tracce, in un ambiente del Casale presente all’interno della vigna già di proprietà dei Principi Pallavicini e Rospigliosi. Dalla sua struttura Armellini congetturò che in origine fosse una cella sepolcrale profana della Via Appia, convertita nei secoli posteriori ad uso d'oratorio cristiano. Successivamente al di sopra di questo ambiente, fu fabbricato un casale, che ne ha alterato all'esterno la natura e l'aspetto. Il piano antico è stato riportato alla luce durante i restauri fatti eseguire dalla principessa Pallavicini nel 1962. “Il piano terra dell’edificio romano all’interno del quale fu realizzato l’oratorio, è composto attualmente da un complesso di quattro ambienti formato dalla cappella stessa e da altri tre vani utilizzati probabilmente in origine come annessi luoghi di culto. Le pareti delle stanze sono rivestite con cortina in laterizio databile tra il II e III secolo d.C., mentre le coperture sono costituite da volte a botte. La porta è formata da un architrave e stipiti di marmo che... presentano alcune croci incise pertinenti al periodo in cui fu realizzata la cappella.” L'Oratorio è ricavato in una stanza di circa mt. 6 per 4. Ai due lati della porta vi sono due nicchie quadrate per porvi i lumi. A metà delle due pareti laterali parte un sedile che va a terminare nella parete di fondo. Il tipo di muratura risulta alquanto irregolare, vicina ai tipi altomedievali. La chiesetta conserva al suo interno dipinti risalenti al XI – XII secolo. Rimangono ancora visibili ed in discreto stato di conservazione solamente gli affreschi dell’abside. Nel centro della grande lunetta superiore è raffigurato il Cristo Pantocrator tradizionalmente benedicente con la mano destra, mentre colla sinistra tiene stretto al petto il volume degli Evangelii riccamente gemmato; il suo capo è cinto da un nimbo adorno di gemme. Alla destra ed alla sinistra dell'immagine due schiere di Angeli, con le ali distese, le vesti riccamente decorate e la figura inclinata in atto di ossequio, fanno offerte al Salvatore. Al lato degli Angeli, raffigurati in scala minore, troviamo le figure dei due committenti: sulla sinistra un uomo con barba riccamente vestito; a lettere bianche sul fondo azzurro della pittura è scritto il nome del personaggio: Beno. Sulla destra si intravede una figura femminile.
Già l'Armellini sospettò che questo Beno fosse lo stesso Beno de Rapiza, committente di alcune pitture nella Basilica sotterranea di S. Clemente. In effetti, paragonando le immagini dell'oratorio con quelle di S. Clemente risulta una certa somiglianza, di vesti, di posizione, d'atteggiamento, di fisionomia; lo stesso può dirsi per la figura della consorte, Maria Macellaria, di cui nell'Oratorio rimane solo il capo e parte del cero acceso. La tesi è rafforzata dal fatto che essi erano ricchi e noti personaggi che avevano nell’XI secolo dei possedimenti nella zona del Laterano. Sotto, sulla sinistra, si vedono poi tre santi orientali, forse Atanasio, Basilio e San Giovanni Crisostomo. Dall'altro lato rimangono le tracce di tre sante femminili coperte d'ampia stola. Al centro, in una nicchia semisferica, è raffigurato l’Arcangelo Gabriele in figura di orante con le braccia aperte. Nella parete destra dell'Oratorio restano altre figure: un santo monaco dalla bianca barba, due angeli (uno forse da identificare con l'Arcangelo Michele), un santo vescovo e varie altre immagini di santi. Lo stile dei dipinti li rende databili all'incirca all'epoca di quelli della parete di fondo.
L’ambiente era probabilmente completamente dipinto: dovevano essere raffigurati fra gli altri anche i sette dormienti, ma nei secoli gli ambienti subirono un forte degrado; dice il Tomassetti: “è spiacevole il fatto che adesso questa chiesina sia ridotta a magazzino di formaggi”; aggiunge l’Armellini: ”è veramente deplorevole che un monumento così insigne... giaccia abbandonato e ridotto ad uso di cellaio campestre e deposito di immondizie”.
Proseguendo, ecco altri ambienti: “una porta situata sul lato sinistro della cappella immette in un vano adiacente di ampiezza minore, nel quale è ancora conservato un pozzo di epoca romana utilizzato evidentemente in un secondo tempo per i servizi della chiesa. In uno dei vani situati alle spalle dell’oratorio è stato sistemato un grande mosaico pavimentale rinvenuto al piano superiore del complesso. Si tratta di un’ampia composizione a tessere bianche e nere con figure di atleti impegnati nella lotta, contraddistinte da nomi ancora in parte leggibili. Nella parte alta del mosaico è un personaggio togato rappresentato nell’atto di consegnare dei premi ad uno dei contendenti. Da quest’ultima stanza, attraverso una porta aperta in rottura in una parete, è possibile passare in un corridoio o diverticolo, che dalla Via Appia conduceva ad alcune tombe situate in uno dei settori interni della grande area cimiteriale. Gli scavi eseguiti su questo lato del complesso hanno consentito il rinvenimento di un piccolo colombario costruito accanto ad una grande tomba a camera, della quale è attualmente visibile una sola parete a blocchi di tufo.
Il pavimento è ricoperto di mosaico bianco e nero contenente motivi a meandri e rosette. Dallo stile delle decorazioni e da alcune iscrizioni sepolcrali superstiti è possibile capire che la tomba, databile alla prima metà del I secolo d.C., era di proprietà di una famiglia di liberti collegata con la casa Giulio-Claudia”.
 

BIBLIOGRAFIA

Mariano Armellini : “Le chiese di Roma dal secolo V al secolo XIX” – Tipografia Vaticana - 1891
Mariano Armellini: “Scoperta di un antico oratorio presso la Via Appiadedicato all’Arcangelo Gabriele ed ai Sette Dormienti” Roma - 1875
Franco Astolfi :“Collana Archeologica” di Forma Urbis - Luglio/Agosto 2002
Christian Hulsen: “Le chiese di Roma nel Medio Evo”
Leo.S.Olschki, Firenze - 1927 Piero Bargellini: “Mille Santi del giorno”, Vallecchi, Firenze - 1977 Giuseppe Tomassetti :“La campagna romana antica medievale e moderna” a cura di F. Chiumenti - L. Bilancia, vol. II, Firenze - 1979
Jacopo da Varagine : “Legenda Aurea” - 1260


per Roma Sotterranea, Adriano Morabito


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