Sotterranei della Villa di Faonte

 


Viene comunemente denominata Villa di Faonte l’area archeologica  compresa tra via delle Vigne Nuove e via Passo del Turchino caratterizzata dalla presenza di strutture pertinenti ad una villa privata che si trovava circa al sesto chilometro della via Nomentana tra questa e la via Salaria.
La villa venne descritta dal Nibby nel 1849 e poi dal Tomasetti e dal Lanciani che riferirono la presenza di murature in opus reticolatum che si estendevano sulla collina per una superficie di circa 300 mq e la presenza di un criptoportico, in seguito riconosciuto essere in realtà una cisterna, addossata al lato sud della collina.

La cisterna presenta una pianta quadrangolare con lati di 100 x 50 piedi 29,5 x 14 metri) divisa in due navate da un muro di spina a sei pilastri di 2,10 metri. I muri perimetrali così come quello di spina sono realizzati in opus reticolatum con cubilia in tufo giallo. I lati est, ovest e sud, non a ridosso della collina, vennero rinforzati esternamente da un muro in opus cementicium in scaglie di selce.
Le pareti interne presentano ancora tratti dell’intonaco idraulico di rivestimento così come il cordolo in corrispondenza del pavimento. La copertura a volta a botte era realizzata in opera cementizia in scaglie di selce e tufo.

Planimetria della cisterna     Cisterna

Se si escludono esigui resti di murature a nord-ovest della cisterna completamente rimaneggiati ed obliterati da strutture medievali nulla è più visibile delle strutture descritte dal Nibby. Campagne di scavo e sondaggi sulla collina non hanno portato risultati.
Negli anni sessanta del secolo scorso vennero scoperti degli ambienti sotterranei costituiti da cunicoli e da pozzi riconosciuti come un sistema di cisterne a cunicoli  riferibili all'età repubblicana di una fase antecedente alla costruzione della cisterna esterna.

Il Lanciani riporta la presenza presso l'attiguo casale Chiari di lastre di marmo, frammenti di colonne, paraste, epistili e di un torcular la cui presenza lascia presupporre la coesistenza di una parte rustica. Una ricognizione del Quilici ha individuato piastrelle romboidali in marmo, frammenti di sigillata e di ceramica comune di età imperiale.

Ambienti ipogeiAmbienti ipogei

L'identificazione di questa villa con il suburbanum Phaontis risale già al Nibby ma mancano delle prove certe, la sua attribuzione infatti si basa esclusivamente sulla sua posizione, che Svetonio riporta nell'agro fidenate al IV miglio tra Salaria e Nomentana, e sul ritrovamento, nel 1891 in terreni in prossimità della villa, dell'epigrafe funeraria di una certa Claudia Egloge, nome della nutrice di Nerone. Tuttavia la presenza di numerose ville rustiche nella zona nonché la frequenza del nome proprio in questione non permettono un'attribuzione certa.

Da Luglio 2010 Roma Sotterranea, su incarico della Soprintendenza Speciale ai Beni Archeologici di Roma, nella persona del Dott. Francesco di Gennaro, è stata incaricata di effettuare il rilievo e lo studio degli ambienti ipogei della Villa di Faonte.

Nerone nel giugno del 68, cercando di sfuggire agli uomini di Galba che ormai aveva ottenuto l'appoggio da parte del senato, scappò da Roma, trovando asilo presso la villa del liberto Faonte, dove si tolse la vita per non essere catturato. Questa vicenda viene ampiamente narrata da Svetonio nella Vita di Nerone.

48 - […] cominciò a desiderare un rifugio appartato, per raccogliere le forze. Il suo liberto Faonte gli propose allora la sua casa in periferia, situata tra la via Salaria e la via Nomentana, a quattro miglia circa da Roma. Restando com'era, a piedi nudi ed in tunica si gettò addosso un piccolo mantello di colore stinto, si coprì la testa, stese un fazzoletto davanti alla faccia e montò a cavallo, accompagnato soltanto da quattro persone, tra le quali vi era anche Sporo. Nello stesso istante, spaventato da un tremito della terra e da un lampo che saettò davanti a lui, udì provenire dagli accampamenti vicini le grida dei soldati che formulavano imprecazioni contro di lui e acclamazioni a favore di Galba. Uno dei passanti che incontrarono disse perfino: "Ecco gente che insegue Nerone" ed un altro domandò loro: "Vi è qualche novità a Roma, a proposito di Nerone?"
Quando il suo cavallo ebbe un'impennata pe l'odore di un cadavere abbandonato sulla strada, gli si scoprì il volto e fu riconosciuto da un pretoriano in congedo che lo salutò. Come giunsero ad una strada laterale, lasciarono i cavalli, e passando in mezzo a macchie e cespugli per un sentiero bordato di canne, Nerone arrivò a fatica, non senza che vestiti fossero stesi sotto i suoi piedi, al muro posteriore della casa. Qui, poiché Faonte lo esortava a riposarsi un momento su un mucchio di sabbia, disse che non voleva essere interrato vivo e , fatta una breve sosta, intanto che gli si preparava un ingresso clandestino nella casa, per dissetarsi attinse con la mano un po' d'acqua da una pozzanghera che stava ai suoi piedi, esclamando: "Ecco il ristoro di Nerone." Poi, facendosi strappare il mantello dai rovi si aprì un passaggio fra i cespugli e penetrò, trascinandosi sulle mani attraverso il cunicolo di una grotta che era stata scavata, nella stanza più vicina, dove si distese su un letto dotato di un modesto materasso e ricoperto da un vecchio mantello; tormentato dalla fame e nuovamente dalla sete, disdegnò il pane nero che gli si offriva, ma bevve un bel po' di acqua tiepida.
49 - Poi dal momento che ognuno dei suoi compagni, a turno, lo invitava a sottrarsi senza indugio agli oltraggi che lo attendevano, ordinò di scavare davanti a lui una fossa della misura del suo corpo, di disporvi attorno qualche pezzo di marmo, se lo si trovava, e di portare un po' d'acua e un po' di legna per rendere in seguito gli ultimi onori al suo cadavere. A ognuno di questi preparativi piangeva e ripeteva continuamente: "Quale artista muore con me!" Mentre si attardava in questo modo, un corriere portò un biglietto a Faonte: Nerone, strappandoglielo di mano, lesse che il senato lo aveva dichiarato nemico pubblico e che lo faceva cercare per punirlo secondo l'uso antico; chiese allora quale fosse questo tipo di supplizio e quando seppe che il condannato veniva spogliato, che si infilava la sua testa in una forca e che lo si bastonava fino alla morte, inorridito, afferrò i due pugnali che aveva portato con sé, ne saggiò le punte, poi li rimise nel loro fodero, protestando che "l'ora segnata dal destino non era ancora venuta". Intanto ora invitava Sporo a cominciare i lamenti e i pianti, ora supplicava che qualcuno lo incoraggiasse a darsi la morte con il suo esempio; qualche volta rimproverava la propria neghittosità con queste parole: "la mia vita è ignobile, disonorante. –Non è degna di Nerone, non è proprio degna. – Bisogna aver coraggio in questi frangenti. – Su, svegliati."  Ormai si stavano avvicinando i cavalieri ai quali era stato raccomandato di ricondurlo vivo. Quando li sentì esclamò tremando: "Il galoppo dei cavalli dai piedi rapidi ferisce i miei orecchi". Poi si affondò la spada nella gola con l'aiuto di Epafrodito, suo segretario. Respirava ancora quando un centurione arrivò precipitosamente e, fingendo di essere venuto in suo aiuto, applicò il suo mantello alla ferita: Nerone gli disse soltanto: "E' troppo tardi"  e aggiunse "Questa si è fedeltà." Con queste parole spirò e i suoi occhi, sporgendo dalla testa, assunsero una tale fissità che ispirarono orrore e spavento in coloro che li vedevano. La prima e principale richiesta che aveva preteso dai suoi compagni era che nessuno potesse disporre della sua testa, ma che fosse bruciato intero a qualunque costo. Il permesso fu accordato da Icelo, liberto di Galba, da poco uscito dalla prigione in cui era stato gettato all'inizio della rivolta.
50 - Per i suoi funerali, che costarono duecentomila sesterzi, lo si avvolse nelle coperte bianche, intessute d'oro, di cui si era servito alle calende di gennaio. I suoi resti furono tumulati dalle sue nutrici Egloge e Alessandria, aiutate dalla sua concubina Acte, nella tomba di famiglia dei Domizi, che si scorge dal Campo di Marte sulla collina dei Giardini. Nella sua tomba fu collocato un sarcofago di porfido sormontato da un altare in marmo di Luni e circondato da una balaustra in pietra di Taso.


Bibliografia:

per Roma Sotterranea, Simone Santucci