Catacombe ebraiche di villa Torlonia

 

Parete di arcosolio con aron, tra candelabri a 7 bracciPurtroppo a tutt'oggi, non sono molte le informazioni delle fonti letterarie che ci vengono in aiuto, relativamente alle sepolture della comunità ebraica dell'antica Roma. Tuttavia i rinvenimenti e le scoperte archeologiche, possono essere annoverate sicuramente tra quelle più cospicue e di sicuro interesse: a Roma sono individuate ben cinque necropoli, tutte di tipo catacombale, databili fra il III e il IV secolo. Cronologicamente possiamo quindi elencare: Monteverde sulla via Portuense, Vigna Randanini sulla via Appia Antica, Vigna Cimarra sempre sull'Appia, Vigna Apolloni sull'antica via Labicana (oggi Casilina) e Villa Torlonia sulla via Nomentana. Probabilmente nessuna di queste aveva l'accesso direttamente dalla via consolare ma da un diverticolo. Da segnalare l'esistenza di un altro ipogeo, situato sulla via Appia Pignatelli, che anche se considerato ebraico al momento della scoperta, è stato poi in maniera definitiva considerato d'altra natura.

Le lacune presenti oggi sulla conoscenza della struttura funeraria ebraica, non ci permette di capire se i gruppi comunitari, riuniti intorno alle almeno undici sinagoghe testimoniate, avessero ciascuno una propria struttura; quindi anche l'ipotesi dell'esistenza di un'organizzazione sovrastante la comunità e comunitaria per l'intera città, potrebbe essere del tutto valida. Mentre nelle catacombe cristiane era sovente la celebrazione liturgica a suffragio dei morti, in quelle ebraiche tale attività era vietata dalla religione che vedeva il contatto coi morti, come una sorta di 'impurità'. Questo particolare, in realtà molto importante, rende tali ambienti privi dei tipici locali cristiani ipogei, che normalmente erano adibiti alle riunioni pubbliche, celebrazioni, ecc. Possiamo quindi tranquillamente affermare che in esse, gli accessi, le gallerie, i cubicoli e tutte le opere presenti sono da ritenersi funzionali esclusivamente ai riti di sepoltura.

Nel 1984 il complesso di Villa Torlonia , fu consegnato alla tutela dello Stato italiano in occasione della revisione del concordato con la Santa Sede. Le origini della scoperta della catacomba risalgono però al 1918 con la sistemazione dell'area. Il complesso ipogeo, che copre un'area sotterranea di circa 110x120 metri, è disposto su diversi livelli, corrispondenti a due distinte catacombe con genesi e sviluppo completamente diverse e indipendenti, riunite tra loro per mezzo di gallerie solo in un secondo momento. Ciascuna di esse è composta da regioni differenti: quella orientale nonché superiore, da tre (A, B, C), la più occidentale ed inferiore da due (D, E).

Vedi la la pianta Contrariamente a quanto proposto da Beyer e Lietzman nella loro monografia, Umberto Fasola nel suo studio propone una sequenza cronologica della sua genesi invertita rispetto a quella precedentemente proposta. La regione E, almeno il suo nucleo originario, sarebbe la più antica, a cui seguirebbero le aree A e C, i successivi approfondimenti di A ed infine il riutilizzo del cunicolo idraulico, che costituisce l'ossatura della regione B.

La regione D non è definita cronologicamente, ma proposta come sorta contemporaneamente alla catacomba superiore. Sulla base dello studio dei numerosi bolli laterizi presenti in più parti delle due catacombe, Fasola ne definisce la cronologia assoluta: i cimiteri non sono anteriori all'epoca di Settimio Severo (193-211) e si sviluppano nel corso del III secolo, poiché, risalgono alla metà di questo le decorazioni degli ambienti ricavati dall'approfondimento della regione A; il cui ampliamento prosegue agli inizi del IV (bollo dioclezianeo in situ). Gli accessi al sottosuolo sono due, probabilmente posti su un diverticolo della via Nomentana, all'incirca corrispondente all'attuale via Spallanzani. Quello occidentale (E), che serviva la catacomba inferiore, sfocia nei giardini della villa ed è quello attualmente in uso. Questo ingresso, costruito con una muratura in opera listata, ha una struttura particolare: la prima rampa di scale immette in un ambiente a cielo aperto di forma allungata e con un lato breve leggermente absidato. Fasola ritenne che questo spazio costituisse l'atrio destinato a raccogliere il feretro, secondo la prescrizione talmudica (Baba Bathra VI,8). La sosta del corpo del defunto prima della sua inumazione è coerente con il modello di vita proposto nel trattato talmudico di Avoth (1Y21): "Questo mondo è come un vestibolo che precede il Mondo Avvenire; preparati nel vestibolo per entrare nella sala"; l'aforisma è così spiegato da A. Cohen: "Questa vita è soltanto il preludio di un'altra più elevata, (...) l'uomo, durante la permanenza nel "vestibolo", si mette meglio in grado di respirare la pura atmosfera spirituale della "sala" consacrandosi allo studio e alla pratica dei precetti". La forma absidata rispondeva anche all'esigenza pratica di ampliare lo spazio relativamente angusto (circa 1 metro e mezzo di larghezza), facilitando così il passaggio nonché, forse, la breve sosta per il rito funebre.

Cubicolo dipinto con Sefer TorahLa seconda rampa, interrotta da un pianerottolo, conduceva, originariamente, solo alla regione E. Successivamente, con lo spianamento di alcuni gradini della parte terminale della scalinata, all'altezza di un lucernario, fu creato l'accesso all'area D.

La regione E nacque con un'estensione molto limitata ed era caratterizzata dalla disposizione regolare delle pile di loculi, intervallate da lesene. Questo primo nucleo fu interessato da almeno due fasi di ampliamento: dapprima ci si limitò ad abbassare il pavimento delle gallerie per ricavare sulle pareti nuovo spazio per i loculi; in seguito, si prolungarono i cunicoli e se ne aggiunsero dei nuovi. Questi interventi successivi non presentano la medesima accuratezza: scomparvero le lesene divisorie, i loculi furono distribuiti disordinatamente e, inoltre, furono create delle diramazioni non coerenti con il restante sviluppo della struttura; secondo Fasola questi cunicoli furono scavati per raggiungere un pozzo preesistente da utilizzare per l'estrazione delle terre di risulta. Il mancato prolungamento delle gallerie della regione E verso nord fece ritenere allo studioso che le dimensioni di questa fossero condizionate dall'estensione della proprietà del sopraterra: solo col graduale accrescimento di questa fu possibile il corrispondente ampliamento della necropoli. Questa regione, oltre ad avere sepolture a loculi, è caratterizzata dalla presenza di numerosi "loculi ad arcosolio" cioè di dimensioni poco maggiori della norma e con la parte superiore ad arco molto ribassato.

L'interno, poco profondo, era suddiviso in due scomparti sovrapposti: quello inferiore era chiuso con tegole inclinate mentre quello superiore era ricavato realizzando, con terra di riporto, un piano orizzontale su cui adagiare il secondo defunto. La chiusura era costituita da un muretto, di tufi o mattoni, intonacato su cui era apposta, dipinta o graffita l'iscrizione. La regione D copre un'area grosso modo rettangolare con le gallerie disposte secondo la struttura a graticola.Anche la distribuzione dei loculi risponde ad un progetto ben definito: con la calce furono create sulle pareti delle partizioni regolari volte a delimitare gli spazi per i loculi; in tal modo, le loro dimensioni erano predefinite e non più determinate dalle mutevoli esigenze. Sulle volte furono tracciati, sempre con la calce, finti archi. Anche quest'area subì degli ampliamenti con interventi contrastanti con l'ordinato impianto originario documentati da gallerie con diversità di quote del pavimento, variazione dell'altezza delle volte e sfondamento di loculi preesistenti.

La tipologia delle tombe di questa regione del cimitero annovera, oltre ai semplici ricettacoli scavati lungo le pareti di tufo, fosse terragne, un kokh (lett. loculo in ebraico; impropriamente tradotto come 'tomba a forno' per la sua forma scavata in profondità, perpendicolarmente al filo della parete), e un unico cubicolo.

La pratica di inumare in kokhim è conosciuta in altri cimiteri ellenistici diffusi in Asia minore, a Cipro in Fenicia e fu introdotta nell'ambiente giudaico in Palestina, alla fine del III secolo a.C. diffondendosi nel secolo successivo per diventare poi prevalente nel I secolo d.C. Tale tipologia funeraria sembra sia da mettere in relazione con la pratica della sepoltura secondaria (traslazione rituale delle ossa).

La catacomba superiore è servita dall'accesso orientale A. L'area originale è delimitata da due gallerie, ortogonali fra loro, poste ai piedi della scala e, verso nord, da altre due gallerie, che le fanno assumere una forma pressoché quadrata. Questa regione è caratterizzata dalla presenza di loculi e cubicoli affrescati che non fanno, però, parte dell'impianto originario ma furono creati dopo un generale abbassamento del terreno. Anche qui, come nel caso della regione E della catacomba inferiore, è probabile che l'estensione dell'area A sia da porre in relazione a quella della corrispondente proprietà del sopraterra.

Tutti i cubicoli presentano allestimenti decorativi particolarmente elaborati. In alcuni di essi colonne scavate nel tufo sottolineano, all'esterno, i fianchi dell'ingresso e, all'interno, i quattro angoli dell'ambiente; affreschi coprono le pareti e la volta non solo dei cubicoli ma anche degli arcosoli.

Tondini impressi sulla chiusura di un loculoLa partizione a linee rosse, che al centro tracciano due cerchi concentrici intorno ad una menorah (il candelabro a sette bracci), crea gli spazi su cui sono raffigurati delfini col tridente, motivi vegetali, ethrog e lulav (cedro e ramo di palma legati alla festività autunnale di Sukkoth), melograni, il corno (shofar) o i rotoli della Legge. Questi sono presenti, in particolare, sulla parete di fondo degli arcosoli, disposti dentro l'aron (arca) che è rappresentata dietro un tendaggio aperto (che rappresenta le cortine che dividevano l'area sacra del Tempio di Gerusalemme) e sotto una volta con il sole e la luna, a identificare una sorta di universalismo temporale. La parete anteriore dell'arcosolio è talvolta dipinta come una fronte strigilata di sarcofago.

La particolare accuratezza di queste decorazioni dimostra come all'interno della comunità, composta principalmente da elementi di modeste condizioni economiche, si fosse formata una élite alquanto agiata, tanto da poter disporre di maestranze qualificate. Per contro, all'estremità di una delle gallerie si conservano, ancora intatte, delle tombe di ebrei così poveri che per provvedere alla loro chiusura si utilizzarono frammenti di recupero, anziché accurati muretti in mattoni, tegole intere o blocchetti di tufo che venivano poi intonacati. Spesso queste chiusure sigillavano due loculi sovrapposti che, quindi, all'esterno non erano più distinguibili. I loculi potevano poi venire contrassegnati con un'iscrizione dipinta sull'intonaco, con un'incisione sulla calce fresca, con una tabella funeraria o con altri mezzi di distinzione quale l'applicazione di oggetti come, ad esempio, i vetri dorati. Peraltro, la nutrita serie di rondini, di circa due centimetri di diametro, impresse disordinatamente sulla calce di chiusura di numerosi loculi di questa stessa regione, a differenza degli analoghi cerchietti trovati in alcune catacombe cristiane, non sembrano essere decorazioni, per quanto rudimentali, ovvero contrassegni (alcune tombe sono già contraddistinte col nome del defunto). Fasola ritiene che questi possano raffigurare i rotoli della Torali (come se fossero appoggiati sui ripiani di un aron), posti a testimonianza della fedeltà dell'estinto alla Legge; potrebbero altresì identificarsi con quelli che Erwin Goodenough (studioso della simbologia ebraica antica) identifica come 'round objects" cioè rappresentazioni simboliche del pane o del sole, cioè della vita stessa.

Sempre in questo cimitero è da segnalare la presenza di molti loculi nel cui interno è stata osservata una patina nerastra costituita da una sostanza oleosa, forse aromatica, di cui non si conosceva l'utilizzo in questa forma.

Da un preesistente cunicolo idraulico prendono avvio la regione C e successivamente la B, la cui cronologia non è determinabile ma che fu abbandonata prima del suo completo utilizzo.

Iscrizione di Delfinos archon Oltre ad un centinaio di lucerne fittili, di cui una soltanto decorata con la menorah sul disco, sono state ritrovate numerose iscrizioni, per lo più in greco. Fra queste sono da segnalare per la loro importanza documentaria specialmente quelle che citano il nome della sinagoga di provenienza del defunto (specialmente dalla Suburra ma anche da quella di sckonon, termine di cui purtroppo ignoriamo l'origine sicura). Inoltre, quelle con l'esplicitazione della carica ricoperta all'interno della comunità: l'arconte (sei lapidi), il grammateo (segretario e/o scriba, sette individui), il gerusiarca (consigliere anziano), il padre della sinagoga e un inconsueto salmista nonché, i due epitaffi di proseliti cioè di convertiti all'ebraismo.

                                                                                                 Per Roma Sotterranea Michela Vitale

 


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